FARE POLITICA
1. Volete un partito a vocazione maggioritaria o pensate che sia più funzionale nel breve periodo concentrarsi su alcune istanze forti e in grado di creare identità?
Non per fare i democristiani, ma le due opzioni devono contemperarsi perché l’una senza l’altra serve a ben poco. Non serve a nulla essere chiari e coerenti se non si convince un grande numero di elettori che le proprie proposte son quelle giuste, e non serve a nulla aver tanti elettori se non è chiaro cosa si voglia fare o nemmeno lo si sa. Avere solamente tanti voti serve a chi cerca il potere politico fine a se stesso, come le tristi storie di PD e PdL provano: tanti voti, pochi fatti, paese in rovina. Ricordiamoci che alle radici del grande successo iniziale di Fermare il Declino e di FARE stavano proprio una chiara identità ed una cristallina coerenza, conquistate anche al prezzo di aspre discussioni interne che evitarono inciuci di ogni sorta e permisero di affinare e ribadire le nostre proposte. Queste sono le due principali ragioni per la miracolosa crescita che si invertì a metà febbraio 2013 proprio perché fallimmo il test della coerenza.
Il miracolo di Fermare il Declino non era certo dovuto all’ambiguità generica del messaggio o a tattiche da “politici” professionisti che giocano a dare un corpo al cerchio ed uno alla botte, ma a tutto il contrario. Occorre ripartire dai nostri principi e dalle nostre proposte per confrontarci onestamente con chi ha simili aspirazioni di cambiamento costruendo così l’aggregazione maggioritaria che il paese degli esclusi aspetta. Ma occorre evitare il “montismo” fumoso (ora, spero di no ma temo di sì, incarnato nel governo Letta) che non porta da nessuna parte e vuole solo tappare buchi qui e là per mantenere l’esistente. La scelta politica strategica che il paese ha di fronte è questa: continuare sulla strada seguita sino ad ora, seppur introducendo elementi di razionalità e decenza nella gestione della cosa pubblica, o cambiare decisamente rotta per crescere? Se questa scelta, che noi auspichiamo, deve prevalere vi è solo una via possibile ed è quella tratteggiata nelle nostre 10 Proposte. Su questo fatto si fonda la nostra vocazione maggioritaria, sulla consapevolezza di avere individuato le direttrici portanti dell’unica strategia di rinnovamento dell’Italia.
2. Quale dovrebbe essere l’elettorato di riferimento di Fare? In particolare: a) a quali categorie sociali volete parlare (giovani/anziani, uomini/donne, occupati/disoccupati, imprenditori/lavoratori, ecc.)? b) ritenete di concentrarvi su un elettorato politicamente schierato o “di opinione”? Nel primo caso, avete in mente interlocutori di sinistra, centro o destra?
Fermare il Declino, quindi FARE, nascono dalla consapevolezza che, in Italia, chi innova, chi lavora e produce in condizioni di concorrenza, chi con lo sforzo ed il merito individuale cerca di progredire, non è rappresentato politicamente da nessuno dei grandi partiti – tradizionali e non visto che il M5S sembra saper solo protestare e mai proporre qualcosa di utile. Questo significa che gli interessi dei milioni di italiani che lavorano e competono fuori dall’aera dei privilegi pubblici sono ignorati dalla politica ed ostacolati dall’apparato dello stato: loro sono il nostro elettorato di riferimento. Fra di essi vi sono sia uomini che donne, sia giovani che anziani, sia occupati che disoccupati, sia imprenditori che lavoratori, sia dipendenti privati che pubblici. La linea di demarcazione, ripeto, è definita anzitutto lungo gli assi definiti da produttori/parassiti ed esclusi/privilegiati. Il problema che dobbiamo affrontare è che, da decenni, questi milioni di persone sono politicamente divisi e, di fatto, succubi di altri gruppi meglio organizzati ed ideologicamente più attrezzati. Il nostro elettorato di riferimento è quindi distribuito in quasi tutto lo spettro politico: dalla LN ed il PdL fino al PD passando per il M5S e Scelta Civica. Occorre aggregarli politicamente per cambiare questo stato, mettendolo al loro servizio e non viceversa.
3. Secondo voi Fare deve puntare a una corsa solitaria oppure deve aggregarsi con altre forze? Quali? Con quali interlocutori dal mondo politico, dell’associazionismo e della società civile pensate sia prioritario relazionarsi? E a che livello (locale, regionale, nazionale)?
Fare deve anzitutto ricostruire se stesso dopo la batosta del febbraio-marzo 2013. Deve non solo darsi una linea politica chiara ed esplicita ma anche un’organizzazione trasparente, efficiente, decentrata e democratica, tutte cose che non ha avuto sino ad ora. Questo mi sono impegnato a fare ed intendo farlo così:
- cambiando lo statuto (la proposta sarà disponibile presto su www.manifestoxfare.it/wp),
- allargando il gruppo dirigente (Consiglio Nazionale e vera Direzione Nazionale di 30 persone circa) a cui va data visibilità nazionale,
- adottando un codice etico semplice ed ampiamente condiviso (anche di questo è disponibile una proposta, direi altamente emendabile, sullo stesso sito a cui aggiungerò presto la mia) e,
- definendo con chiarezza i principi base della nostra azione politica oggi troppo scarni e di cui nessuno, fatta eccezione per me ed il gruppo di amici che si è riconosciuto nel ManifestoxFare, ha discusso.
Poi, ed è questo il secondo stadio della nostra proposta, dobbiamo compiere ogni sforzo possibile per costruire una nuova aggregazione politica che fonda tutte quelle forze, grandi e piccole (a livello locale, regionale e nazionale), che hanno i nostri stessi obiettivi di fondo ma che abbiamo perso per strada, assieme alle decine di migliaia di aderenti che si sono allontanati da FARE dopo il 18/2 e che solamente con una nuova e coerente proposta possiamo recuperare.
Occorre, in altre parole, anzitutto acquisire credibilità sia attraverso la scelta delle persone che ci rappresentano, sia con la qualità ed originalità delle nostre proposte, sia con la trasparenza ed efficienza della nostra organizzazione. Fatto questo, si apre davanti a noi il mare magnum dell’azione politica che dobbiamo svolgere a 360 gradi. Dobbiamo,da ognuno dei tre grandi bacini elettorali, attrarre elettori che apprezzino le nostre proposte. Dobbiamo dialogare con le componenti interne a quei raggruppamenti che già hanno orientamenti non dissimili dai nostri (da ciò che resta di liberale nel PdL e nella LN ai “renziani” nel PD sino alle componenti più realiste e pragmatiche del M5S, passando per coloro i quali, in Scelta Civica, vogliono cambiare il paese e non fare del semplice trasformismo per interesse privato).
Dobbiamo poi, quando si venga alle elezioni, saperci unire a forze a noi simili senza perdere identità ma riuscendo ad essere la componente più dinamica sul piano delle proposte e del programma.Su questo terreno è assolutamente inutile ed ipocrita fantasticare ora: le trattative serie si fanno apertamente e quando se ne ha la forza, sulla base di un programma chiaro. Non sottobanco, per allusioni, lanci giornalistici e chiacchere vaghe che a nulla portano. Ci si può alleare con chiunque, se il programma è chiaro e l’accordo preciso, o con nessuno se queste condizioni vengono a mancare. L’ambiguità, le furberie, la retorica vuota non portano da nessuna (buona) parte e si vede.
4. Chi sarebbe stato il vostro Presidente della Repubblica ideale? Potete rispondere sia in relazione ai nomi che sono stati in ballo – come Napolitano, Rodotà, Prodi, ecc. – che con nomi che ritenete avrebbero dovuto essere votati e invece sono stati scartati dai partiti. Come, esattamente, uscireste dall’attuale situazione di stallo della Repubblica Italiana?
Nessuno dei nomi proposti era ideale, per la semplicissima ragione che erano tutti nomi di persone responsabili del declino e con le proprie radici addirittura nella prima, neanche nella seconda repubblica. La scelta, quindi, va formulata in termini di meno peggio non di “Presidente ideale”. Assumendo che la scelta fosse, come alla fine sembrava, fra Napolitano e Rodotà, io credo che una riflessione attenta porti alla conclusione che – 50,1 a 49,9 – il secondo era meno peggio del primo. Perché mentre nella formazione ideologica e nelle pratiche politiche concrete l’uno vale l’altro – rigido comunista d’apparato il primo, nonostante o fors’anche grazie alle sue posizioni “miglioriste”; radicale prima ed indipendente di sinistra poi con tendenza a teorizzare impossibili utopie, l’altro – oggi come oggi uno avrebbe dato un piccolissimo ma positivo segnale di cambiamento rispetto all’altro. Rodotà avrebbe forse sparigliato un po’ di più di Napolitano il quale sembra uomo desideroso di garantire anzitutto stabilità e conservazione invece del cambiamento per il quale noi operiamo. Ed il paese oggi ha bisogno di cambiare, di rimescolare le carte di farla finita con il dominio (fondato su un’alleanza implicita e presto forse esplicita) di PD e PdL. Rodotà era ben lungi dall’ideale, ma avrebbe inserito un elemento contradittorio rispetto all’asse PD-PdL.
La designazione di Letta jr e la nascita del nuovo governo confermano, almeno in parte, l’analisi di cui sopra. Questo non è un cattivo governo (date le circostanze) ed è senz’altro un governo da stimolare e spronare. Ma sarebbe sciocco ed illusorio pensare che questo governo possa cambiare il paese nella direzione da noi auspicata. Occorre avere l’intelligenza per distinguere fra evitare il peggio e ricercare il meglio o anche solo il bene. L’accordo su cui il governo Letta si fonda è fondamentalmente “conservare con minimi aggiustamenti simbolici e senza intaccare il sistema di potere in essere”. Nostro compito è sia premere perché gli aggiustamenti vadano al di là del simbolico sia far capire all’elettorato che occorre andare oltre l’asse PD-PdL se si vuole fermare il declino.
FARE ORGANIZZAZIONE
Premessa: l’attuale Congresso è, per molti aspetti, un Congresso costituente. Potete quindi rispondere alle seguenti domande, anche specificando quali modifiche statutarie intendete apportare.
5. Se doveste uscire vincitori dal congresso, quali saranno le iniziative che prenderete dentro (organizzazione interna) e fuori (iniziative politiche) Fare nei primi 100 giorni?
Iniziative interne: Abbiamo già detto che intendiamo cambiare radicalmente lo Statuto per attuare ciò che ho da sempre (ossia, almeno dall’ottobre del 2012) proposto. Vogliamo un partito federale a base regionale, con un’organizzazione snella e orientata a risolvere i problemi ed a raggiungere obiettivi specifici. Questo richiede creare, valorizzare e coordinare sia comitati permanenti che territoriali che virtuali che tematici, gruppi di lavoro ad hoc su iniziative legislative, forum aperti per gli aderenti non coordinati in comitati, utilizzo ampio di Liquid Feedback o strumenti simili per mantenere un contatto con le opinioni della base e per aggiornare in tempo reale la nostra valutazione e percezione dei problemi concreti da affrontare.
Riteniamo inoltre vi debbano essere vari livelli (oltre a quelli regionali, che ogni regione articolerà liberamente) di partecipazione, discussione, elaborazione di linea politica e dirigenza. In particolare: un Consiglio Nazionale di 100 persone (per ora partiamo dai delegati al congresso, poi lo eleggiamo ex novo a suffragio universale), una Direzione Nazionale ampia che costituisca il vero gruppo dirigente (circa 25-30 persone), una Segreteria politico-organizzativa di circa 8-10 persone, ognuna con una specifica funzione, che operi distribuita sul territorio nazionale. L’idea della “sede centrale” dove si concentra tutto il “potere” e dove fioriscono cordate, amicizie pelose, gruppi di potere e le mille amenità che già abbiamo sperimentato è assolutamente deleteria e va evitata. Infine, il Presidente dovrà essere solo il “primum inter pares” nella Direzione Nazionale: proponiamo di chiamarlo “Coordinatore della Direzione Nazionale” ed attribuirgli poteri effettivi ed utili ma limitati al controllo/consenso della Direzione Nazionale. Niente più partitino guidato dall’uomo o donna del destino ma un vero ed ampio gruppo dirigente di persone capaci e pubblicamente rispettate, prive di conflitti d’interesse ed assolutamente trasparenti. Questa era la nostra cifra iniziale e questa cifra dobbiamo recuperare.
Iniziative esterne:
- Interventi mirati sui media (stampa e radio-tv) per fare conoscere meglio il movimento (lasciando a un momento successivo, magari pre-elettorale le vere e proprie campagne “a pagamento” sia di brand sia su temi specifici);
- Lancio e/o partecipazione a iniziative politiche mirate (es. raccolta firme di leggi di iniziativa popolare, come ho spesso sostenuto), anche in collaborazione con altri soggetti politici e non. Questo crea attenzione sia verso il movimento stesso che sulla sua linea politica, e getta i primi ponti per alleanze future su basi non strettamente “di schieramento”, ma – molto più opportunamente – su obiettivi politici concreti;
- Partecipazione alle consultazioni locali, laddove ci siano e vi sia la capacità di fare un buon risultato. È stato inevitabile non partecipare alle regionali in Friuli, ma le elezioni a sindaco nei grandi comuni ad esempio, permettono di dire la nostra sui candidati al ballottaggio. E se provassimo qualche volta a proporre un nostro candidato e provare ad aggregare forze attorno a lei/lui?
- Creazione di gruppi di lavoro permanenti sui grandi temi di lungo periodo su cui occorre agire con spirito riformatore. Questi corrispondono alle 10 proposte originali e ad altre su temi quali, in primis, immigrazione e diritti civili.
- Ricerca di collegamenti e proiezione internazionale. Questo aspetto è stato completamente ignorato sino ad ora ed è stato un grave errore. In Italia l’ispirazione liberal-democratica è storicamente rappresentata poco e male, anche a livello di delegazione al parlamento Europeo. Ma dalla Spagna, alla Germania, alla Francia, al Regno Unito, alla Svezia, sono presenti, e numericamente consistenti, movimenti e partiti di ispirazione non dissimile dalla nostra con i quali occorre interagire. Alcuni contatti preliminari sono stati avviati e, se dovessi essere eletto presidente, sarà mio impegno consolidare questa rete e trasferirla in patrimonio al nuovo partito che dovremmo costruire in ottobre.
6. Come intendete organizzare Fare? Come volete strutturare i ruoli, l’organigramma e le procedure al fine di garantire efficienza, responsabilità e trasparenza?
Se e come intendete dividere la struttura organizzativa ed esecutiva di Fare da quella politica e decisionale?
Nell’ambito della nostra “elaborazione politica aperta”, di cui parlerò più chiaramente nella prossima domanda, uno dei punti più importanti sui quali verrà fatta esprimere la base degli aderenti sarà proprio la struttura organizzativa, visto che è una delle cose più delicate e che, a mio avviso, ci ha provocato svariati danni. Ho già detto sopra quali organismi intendo aggiungere agli attuali e come ritengo comitati/circoli/gruppi di lavoro debbano essere le sorgenti della proposta politica e dell’iniziativa stessa. Qui aggiungo solo due cose: non si può separare il politico dall’organizzativo, in un partito e la trasparenza è un processo che occorre garantire ogni giorno, non un annuncio. Un partito politico è di fatto un gruppo di amici che si fidano uno dell’altro e perseguono un comune obiettivo. Se una linea politica prevale nella discussione collettiva coloro che l’hanno proposta devono prendersi la responsabilità per attuarla, non si può delegare ad una struttura “burocratica” neutra perché la politica è sia scelta di idee e programmi che di persone che li attuino. Non vogliamo un partito di professionisti, ma di volontari attivi e propositivi. Quanto le tue proposte sono quelle condivise dagli altri tocca a te attuarle. Se poi fallisci, passi la mano ad un’altra persona o gruppo che cerchino di attuare idee diverse da loro proposte. Ci vogliono idee e persone per rimpiazzare altre idee e persone.
Per questo io trovo imbarazzante leggere affermazioni del tipo “le idee di Boldrin sono buone però lasci fare a noi che facciamo i manager e sappiamo organizzare”! Oppure “i fondatori facciano i professori, quelli che lo fanno, e stiano nel pensatoio che a fare politica attiva ci pensiamo noi che facciamo di professione i manager”! Ma dove? Anzitutto organizzare un partito è ben altra cosa dall’organizzare un’azienda o un fondo d’investimenti: in questi ultimi ci sono dipendenti pagati che obbediscono agli ordini del padrone, nel partito ci sono volontari ed amici che decidono assieme … a meno che non si voglia replicare l’esperienza berlusconiana, ovviamente. Eppoi, appunto, perché in politica le idee camminano sulle gambe delle persone e nascono nelle teste delle persone. Non si può separare una cosa dall’altra, basta guardarsi attorno: nella storia sia italiana che straniera i leaders politici erano persone che anzitutto esprimevano idee proprie ed originali, non manager di idee altrui. Chi pensa di poter fare il manager freddo e borotalcato di idee che non ha elaborato e che forse nemmeno intende, scopiazzate o prese a prestito che esse siano, non ha proprio inteso la differenza cruciale fra la politica e gli affari.
7. Se e in che modo pensate di poter incorporare gli input della base per elaborare il programma e la direzione politica? Come funzioneranno la democrazia interna e i processi decisionali? Come pensate di organizzare la comunicazione interna e la circolazione di informazioni e decisioni?
Credo di aver praticamente già risposto ma, forse, repetita iuvant. Immagino un partito federale e molto trasparente. Le idee partono da chi ce le ha, le elabora e le propone: che la fonte sia un comitato, un singolo aderente o il coordinatore della direzione nazionale, non fa differenza. Si tratta di costruire canali attraverso cui farle circolare, valutare ed elaborare, le idee, separando il grano dal loglio. A questo servono sia gli organi formali sopra menzionati (i quali, alla fine, devono assumersi la responsabilità ultima della decisione) sia le discussioni informali sul territorio ed in rete. Occorre integrare rete e territorio: se un comitato elabora una buona idea non deve semplicemente “trasmetterla al regionale” ma farla circolare in rete al resto del partito, comitati ed aderenti. Accennavo nella domanda precedente alla nostra idea di un processo di “elaborazione politica aperta”, alla quale vale la pena dedicare un po’ di tempo perché si tratterà di uno dei primi casi in Italia se non al mondo. Altri movimenti stanno utilizzando (o meglio fanno finta di utilizzare) strumenti di democrazia online. Penso al Movimento 5 Stelle con le Quirinarie, ma anche Umberto Ambrosoli nella sua candidatura alla regione Lombardia, ed a molti altri casi in Europa. Nessuno di questi, almeno in Italia, ha però mai avuto l’approccio partecipativo a monte, ossia dalle fondamenta del movimento, dai singoli aderenti e dai loro gruppi di aggregazione. Noi pensiamo ad un sistema tale per cui le proposte politiche vengono sempre messe in circolo, valutate e fatte circolare. Certamente, ad un certo punto gli organi eletti all’uopo dovranno decidere se renderle ufficiali o meno ma, nel contempo, i militanti e gli aderenti potranno elaborarle, modificarle ed esprimere il loro supporto o la loro opposizione. È perfettamente possibile che la DN ignori una idea appoggiata dal 70% degli aderenti ma dovrà prendersi la briga di spiegare perché lo fa ed essere convincente assai, pena la defenestrazione al prossimo congresso.
Decisioni: occorre saper delegare e decentrare. Messi alcuni paletti congressuali e fatto salvo il codice etico, la politica al comune di Varese la decidono quelli di Varese in consultazione con la Direzione Regionale lombarda, non la Direzione Nazionale. Delegare e decentrare non vuol dire generare il caos: la linea politica generale deve essere ben definita, le valutazioni che gli aderenti danno delle decisioni prese ai vari livelli devono pesare ed essere ascoltate (occorre, quindi, pensare ad un organo di garanti che convochi il Consiglio Nazionale tutte le volte in cui vi sia palese evidenza di un conflitto fra decisioni prese ad un qualche livello e linea politica di fondo) e, soprattutto, che chi riceve delega e poi sbaglia … se ne assume la responsabilità. Si tratta di capire che “dimettersi” quando si sbaglia è fisiologico, non implica andare all’inferno per sempre. Implica passare la mano ad un’altra persona per vedere se fa meglio. E magari rimettersi in corsa con nuove proposte per la prossima volta, se se ne ha la voglia. La mia idea di organizzazione interna, quindi, si riassume con quattro parole: delega, competenza, discussione, responsabilità.
Infine, proprio perché quando si delega occorre anche aver chiara la linea generale ed i fini che ci si prefige, credo sia il caso di avere un congresso nazionale ogni due e non ogni tre anni. Non deve essere una cosa faraonica ma semplicemente una occasione per discutere assieme di cosa stiamo facendo, cosa abbiamo fatto bene e cosa male e cosa vogliamo fare nel futuro.
8. Quale ruolo prevedete per i comitati? Avete pensato a meccanismi di coordinamento fra i vari comitati? Pensate sarà necessario formare i loro membri e referenti su procedure burocratiche, public speaking, organizzazione eventi, raccolta fondi?
Mi sembra chiaro da quanto detto che i comitati, come ogni altra forma di organizzazione degli attivisti, giocano un ruolo chiave: sono uno dei luoghi dove si elabora e sviluppa linea politica, oltre che uno dei luoghi dove la si attua. Ho visto girare tonnellate di populismo sul tema, populismo a volte vago ed interessato. Meglio essere chiari. I comitati (circoli, gruppi di lavoro, eccetera) sono forme di organizzazione degli aderenti. Vanno fomentati e coordinati ad ogni livello (territoriale, tematico, funzionale) e vanno lasciati liberi di articolarsi e comunicare come a loro aggrada. Ciò che è importante è mantenere fermi tre capisaldi: (1) chiunque può elaborare e proporre linea politica, idee nuove, spunti programmatici, i comitati in primis; (2) ad ogni livello (territoriale, tematico, funzionale, nazionale) esistono organi decisionali eletti democraticamente (una persona un voto) che devono assumersi la responsabilità ultima delle decisioni politiche; (3) strumenti, telematici e non, di interazione fra comitati, persone, attivisti in genere, vanno sempre usati al massimo per sviluppare discussione, elaborazione e consenso prima di giungere alla decisione finale.
Ovviamente abbiamo bisogno di strumenti di formazione dei nostri attivisti ed anche questi vanno articolati a vari livelli a cui progressivamente si deve sviluppare la nostra attività politica. Avremmo bisogno sia di “scuole regionali” per chi si occupa di argomenti locali che di “scuole nazionali” per altri argomenti. Dobbiamo sia preparare chi opera nei comitati, come chi opera nei vari organismi regionali e nazionali, come, quando li avremo, dovremo preparare i nostri eletti, dai comuni al parlamneto. Questo è tutto abbastanza naturale ed ovvio, non vedo ragione di dilungarmi nei dettagli in questa sede. Al momento, la nostra preoccupazione maggiore deve essere quella di fare chiarezza sulla linea politica e di superare artificiose divisioni fra comitati e singoli aderenti o fra “base” e “vertice”. A questo io mi auguro il congresso serva: capire se esiste un gruppo dirigente che sappia esprimere una linea politica ed una struttura organizzativa che diano un futuro a questo movimento e siano capaci di realizzare le nostre speranze.
9. Come pensate di reperire le risorse necessarie per portare avanti le nostre battaglie? Se aveste 20,000 euro, come li spendereste? E se ne aveste un milione? Col senno di poi, come avreste impiegato le risorse nella scorsa campagna elettorale?
Io credo che l’operazione di fundraising sia stata gestita relativamente bene, almeno dal punto di vista tecnico/pratico e per la parte diretta ai singoli aderenti, ossia alle donazioni individuali attraverso il sito. È stato molto facile per le persone effettuare donazioni online con PayPal e/o carta di credito. Diversamente, parecchio peggio, sembra essere andata l’attività di raccolta fondi fra i potenziali “grandi donatori” che, per quanto riesco a capire, ha prodotto poco o niente al netto delle spese e, di certo, è rimasta molto al di sotto degli obiettivi prefissati ed annunciati. Va riconosciuto che chi ha coordinato quella parte del progetto raccolta fondi non ha certo dimostrato grandi capacità organizzative o particolare inventiva. Quanto fatto va rivisto criticamente trovando fra i nostri aderenti persone capaci di fare questo lavoro, un lavoro che, per diretta esperienza personale in università e fondazioni in vari paesi del mondo, so richiedere pazienza, dedizione e molta tecnica. Ovviamente, a fronte dei problemi che abbiamo avuto, sarà necessario rilanciare la raccolta fondi fra piccoli e medi donatori dando ai nostri aderenti ragione per credere in noi e nel nostro progetto in modo che le donazioni possano riprendere e crescere.
Credo anche che la gestione dei fondi raccolti sia stata meno che ottimale come meno che ottimale è stata la nostra capacità di informare il pubblico di quanto e come raccogliavamo mese per mese e di come queste risorse venivano spese. Lì si apre un mondo (anche di critiche, tanto per esser chiari) che andrà studiato molto attentamente ma non voglio polemizzare ulteriormente; sto ancora studiando il bilancio con i miei collaboratori e dobbiamo ancora capire la logica di molte delle scelte fatte. Mi sembra comunque quantomeno bizzarro che si sia speso in consulenza il 30% del budget totale destinato alle attività di comunicazione, una percentuale del tutto esagerata per gli standard di quel settore. In ogni caso, incaricherò una commissione di aderenti esperti perché studino sia come abbiamo raccolto i fondi sia come li abbiamo spesi e producano, nello spazio di un mese al più, un rapporto completo ed assolutamente dettagliato da rendere pubblico a tutti gli aderenti. Sulla base di quel rapporto decideremo come rilanciare la nostra raccolta fondi e come amministrare e spendere le nostre risorse, oltre che di come rendere trasparenti entrambi questi processi.
Se avessimo 20,000 euro probabilmente punteremmo molto su internet con il quale si ottiene il maggior ROI anche in termini di visibilità grazie alla grossa forza virale di FARE e all’attività su Facebook, Twitter e YouTube dei nostri aderenti. Approfitto per manifestare una volta ancora la mia gratitudine ai volontari che, in questi mesi, hanno gestito la nostra presenza nei social networks dove hanno fatto un lavoro eccezionale, migliore di qualsiasi altra organizzazione politica se si tiene in considerazione l’assoluta scarsità di risorse messe a loro disposizione.
10. Pensate sia necessario istituire norme di condotta da seguire durante l’utilizzo di internet e dei nuovi media da parte di chi ricopre ruoli di spicco nel partito, sia sui canali ufficiali di Fare che sui loro siti e account personali?
Fatto salvo l’ovvio (ossia, che non è mai il caso di riportare informazioni non veritiere in qualsiasi sede, sia essa virtuale o meno) e quanto previsto dal Codice Etico che proporremo al Congresso ed a tutti gli aderenti, la mia risposta in principio è: no. Figuriamoci se un movimento politico può pretendere di regolare in qualsiasi modo il comportamento online delle persone: diventerebbe un tentativo, maldestro, di limitare la libertà di opinione e discussione, pubblica o privata che sia. Considero internet una grande autostrada e non sarà certo il nostro movimento a dettarne le linee guida. Per i luoghi di discussione pubblici esiste la netiquette, basta e avanza. Cosa diversa sono le risorse interne (sito, forum, etc.). Faremo appello ovviamente anche lì alla netiquette ma, essendo spazi molto spesso di lavoro e/o deliberazione chi alza i toni, insulta gratuitamente o esagera nelle corbellerie dovrà essere invitato a smetterla (se necessario, impedito a farlo) esattamente come avviene nella realtà in una qualsiasi assemblea o dibattito pubblico. Questo vale in particolare su LiquidFeedback, anche se ho sperimentato essere “anti-trolling” per delle dinamiche interne tutte sue: una proposta, se assurda, non viene neanche considerata dalla comunità e viene scartata automaticamente. Questo già mi tranquillizza.
In ogni caso, vale la regola secondo cui tutte le opinioni hanno diritto di essere liberamente manifestate e che le affermazioni concernenti fatti verificabili vanno provate e sottoposte al test dell’altrui valutazione critica.
FARE squadra
11. Una squadra è formata da un capitano e diversi giocatori; c’è qualche personalità di spicco della vostra squadra che vorreste citare? Quali ruoli vorreste che coprissero nella nuova Fare?
Il nostro gruppo di lavoro è stato in grado di attirare un grande numero di persone con specifiche competenze. Mi piace ricordare che il manifesto di “Fermare il declino”, la base di partenza del nostro movimento e del nostro partito, nasce da un lavoro di squadra che venne iniziato, per quanto mi riguarda, con il convegno del febbraio 2012 organizzato da Sandro Brusco e dal sottoscritto e che coinvolse sin da allora varie persone che collaborarono poi al manifesto di luglio fra cui, con un ruolo progressivamente sempre più rilevante, Oscar Giannino. Tale lavoro di elaborazione è continuato sino a Luglio ed ha coinvolto (oltre ad Oscar Giannino che già aveva avviato un lavoro simile attraverso la sua trasmissione radiofonica ed il “Chicago Blog” in collaborazione, fra gli altri, con Carlo Stagnaro) gli altri fondatori, ognuno dei quali ha contribuito le idee che era andato sviluppando, nel tempo, nella propria attività pubblicistica e di ricerca. Queste idee hanno poi trovato largo consenso tra i migliori economisti che questo paese ha saputo esprimere. Tutte risorse che, con diversi gradi di coinvolgimento, possiamo ancora sfruttare nell’elaborazione teorica, ma non solo.
Ovviamente non dobbiamo fermarci agli economisti: molte altre figure professionali di grande levatura si sono aggiunte in questi mesi al team, alcune ci sono ancora, molte si sono forse stancate e vanno recuperate e coinvolte. Fare qui un elenco di nomi correrebbe il rischio di offendere quelli che, per una ragione o l’altra, finirei per dimenticare senza intenderlo, quindi preferisco astenermi dal proporre un elenco anche perché stiamo parlando di dozzine di professionalità di ogni tipo che si sono a noi avvicinate e che possono ritornare a cooperare con noi se appropriatamente motivate. A queste persone occorre saper parlare il linguaggio dei contenuti, dell’innovazione, della competenza tecnica e del rispetto per il loro ruolo creativo. Questa non è tanto una questione organizzativa ma politica e di sostanza: occorrono idee nuove e valide per motivare chi altre idee nuove e valide sa e può produrre.
Nella nostra squadra, tra i candidati alla direzione nazionale e alle presidenze regionali, sono presenti molte persone che hanno grandemente contribuito, ai vari livelli, alla crescita di Fare in questi mesi, dimostrando sempre passione, apertura mentale, competenza, spirito laico e capacità di ascolto della base. In ottemperanza alla necessità di cambiare e far emergere nuove energie abbiamo fatto uno sforzo, credo riuscito, di candidare quante più persone nuove possibile, scegliendo sempre in modo trasparente ed attraverso una serie articolata di “mini primarie” le persone più valide e che ricevevano il maggior consenso fra gli aderenti alla proposta contenuta nel Manifesto per Fare. Voglio qui esprimere la mia gratitudine a tutti quei coordinatori, regionali o ad altro livello, che, pur avendo ben operato sino ad ora, hanno avuto il coraggio di fare un passo indietro in questa fase congressuale per permettere a nuove persone di farsi avanti. È stato il loro un grande gesto di generosità e coerenza che non tutti han saputo fare nella definizione delle candidature di altre proposte congressuali e che vorrei pubblicamente riconoscere.
Inoltre, in questo periodo precongressuale, alla nostra squadra si sono aggiunte ulteriori nuove competenze anche nelle aree dell’organizzazione, della comunicazione e dei social network, per permettere alla nostra capacità di penetrazione sul mercato politico di accrescersi e per dare la massima apertura ai contributi della base. Il fatto che abbia spinto molto per l’utilizzo, fra i molti altri strumenti, di una piattaforma di democrazia online che in qualche modo orizzontalizzi al massimo i ruoli, la discussione e il dibattito interno, la dice lunga su quanto sia distante da me il concetto di “capitano” o di leader che tutto conosce e tutto controlla. Invece mi piace molto parlare di squadra e penso al mio ruolo come quello di un talent-scout, allenatore e coordinatore (assieme a chiunque voglia aiutarmi) di quella grande squadra di talenti che il nuovo gruppo dirigente di Fare deve riuscire ad essere per cambiare davver l’Italia, pazientemente ma seriamente.
Michele Boldrin
11 domande ai candidati alla presidenza di Fare: le risposte di Michele Boldrin | Fare per Fermare il Declino.
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