Michele Boldrin

Michele Boldrin: LETTERA APERTA A GUIDO CROSETTO | Fare per Fermare il Declino


Boldrin: Alla Cosa “Nera” diciamo “No, grazie”.

A noi interessano solo le cose “da Fare”.

Il coordinatore nazionale di Fare per Fermare il declino scrive a Guido Crosetto (coordinatore Fratelli d’Italia-Centrodestra Nazionale).

Milano, 16 giugno 2013. Caro Crosetto, ho letto dell’operazione che dovrebbe portare alla creazione di un nuovo partito di centrodestra, anzi de IL partito di centrodestra italiano. Ho letto anche del vostro invito pubblico a Fare per entrare a far pare di questa “Cosa” che la stampa definisce “Nera”. Ebbene, caro Crosetto, senza tanti giri di parole ti dico chiaramente che noi di Fare nella “Cosa Nera” non abbiamo proprio alcuna voglia di entrarci. Per svariate e semplici ragioni.

Siamo nati 10 mesi fa sulla base di una constatazione fondamentale: l’attuale classe politica, salvo poche eccezioni, ha completamente fallito e deve essere cambiata. Dopo aver spiegato perché deve essere cambiata (ha fatto il contrario di ciò che sarebbe stato utile) abbiamo anche messo giù per filo e per segno le cose che, a nostro avviso, occorre fare per invertire il declino del paese. Noi siamo disposti a parlare con chiunque sia desideroso di mettere in pratica almeno qualcuna di quelle proposte molto concrete e, requisito necessario, non sia responsabile politico del declino in corso. I Tremonti ed i La Russa (per menzionare due dei più noti) che dovrebbero costituire l’asse portante della “Cosa Nera” non possiedono né la prima né, soprattutto, la seconda, caratteristica. Per quanto mi riguarda vi è una ed una sola cosa che questo tipo di persone dovrebbero avere la decenza di fare se avessero a cuore il bene del paese: ritirarsi a vita privata sperando che altri riparino i danni che la loro cattiva azione politica ha generato.

Pensare che Fare possa farsi coinvolgere in un’operazione di maquillage politico-elettorale di questo tipo vuol dire non aver fatto attenzione a quanto abbiamo detto e scritto o pensare che noi siamo di quelli che dicono una cosa e poi ne fanno un’altra. Non è proprio così: abbiamo l’intenzione di fare ciò che promettiamo ed il nostro progetto consiste nella creazione di una forza politica nuova che sia alternativa a chi ha mal governato l’Italia (da destra o da sinistra, fa lo stesso) per decenni. Creare un altro partito di destra – ideologizzato, conservatore e stracolmo di ex ministri e parlamentari fallimentari – risolve forse qualche problema del paese? Nessuno, a parte il loro bisogno di riciclarsi. È un trucco già visto e rivisto, che può ingannare solo qualche ingenuo e vorrei sperare, caro Crosetto, che tu non sia fra questi.

Fare ha scelto consapevolmente di non avere connotazioni ideologiche, né di destra, né di sinistra né di qualsiasi altro colore: le nostre stelle polari sono lo sviluppo economico e la rinascita sociale del paese nell’interesse di chi – lavorando e producendo o per lo meno cercando di farlo come i milioni privi di occupazione – lo tiene ancora in piedi. Noi non vogliamo essere conservatori perché qui c’è poco o nulla da conservare e moltissimo da cambiare se si vuol riprendere la strada del progresso sociale ed economico.

 

Caro Crosetto, tu sei uno dei pochi che, in anni recenti, ha almeno cercato di dire che occorreva agire diversamente. Negli ultimi tempi avevi anche manifestato la consapevolezza che una politica del tutto diversa è necessaria: come puoi pensare che la “Cosa Nera” sia la strada giusta? A te e a tutti coloro che in buona fede vogliono veramente fare gli interessi del paese, diciamo: rinunciate alle piccole rendite di posizione ed ai trasformismi che una classe politica ed un sistema fallimentari offrono e propongono. Iniziate a ragionare pubblicamente con noi sui programmi concreti e sulle cose da fare per tagliare la spesa pubblica, abbattere le tasse, ridurre lo strapotere della burocrazia e su tutto il resto che serve per far ripartire il nostro paese. Ecco, questa è l’unica condizione a partire dalla quale si può navigare assieme verso un punto d’incontro che definisca una valida alternativa al drammatico vuoto attuale di idee, di proposte concrete e di persone credibili capaci di attuarle.

Michele Boldrin

Coordinatore Nazionale di Fare per Fermare il declino

viaMichele Boldrin: LETTERA APERTA A GUIDO CROSETTO | Fare per Fermare il Declino.

Michele Boldrin: “Ecco dove trovare 14 miliardi per tagliare le tasse” | Fare per Fermare il Declino


(AGENPARL) – Roma, 05 giu – “Mentre il governo Letta discute a vanvera di tasse o ne rinvia il pagamento, senza trovare le coperture, il Paese continua a declinare”. Lo dichiara Michele Boldrin, economista e nuovo presidente di Fare per Fermare il Declino. “Ma le coperture ci sono. Ecco due provocazioni, che tanto tali non sono”, continua Boldrin. “Lo Stato italiano spende ogni anno circa 40 miliardi per le pensioni di invalidità e, come tutti sanno (anche se per opportunismo o calcolo politico fanno finta di ignorare) almeno un quarto di questa cifra viene percepita da chi non ne avrebbe alcun diritto. Questo fenomeno crea almeno tre gravissimi danni”, spiega: “Innanzitutto, ruba (letteralmente) risorse destinate a chi avrebbe realmente diritto a un sostegno sociale; in secondo luogo, crea una distorsione nel sistema del welfare, perché usa uno strumento (la pensione di invalidità) al posto di altri eventuali sussidi più appropriati; infine, crea una rete di connivenze e clientelismi legati all’abuso nell’erogazione illecita di queste pensioni”.

“Ebbene, la mia proposta”, prosegue Boldrin, “è semplice e drastica: prendere atto che il sistema è deviato e risanarlo alla radice stabilendo che tra due anni le attuali pensioni di invalidità cesseranno di essere erogate. Contemporaneamente, occorrerà permettere per tempo, a chiunque ritenga di averne i requisiti, di ottenere una nuova pensione di invalidità che verrà riconosciuta a chi presenterà una nuova documentazione sanitaria, rilasciata da strutture al di sopra di ogni sospetto (es. ospedali militari o altre strutture pubbliche controllabili), certificante l’effettivo stato di salute dei percettori. Distinguendo chi ha realmente bisogno”, dice il presidente di Fare, “da chi invece perpetra un reiterato furto ai danni della collettività, si eliminerà un abuso che ogni anno costa ai contribuenti almeno 10 miliardi di euro”. “La seconda proposta è di ridurre progressivamente”, dichiara Boldrin, “i sussidi statali alle imprese, che invece di sostenere quelle efficienti finiscono nella quasi totalità a poche grandi entità, scarsamente efficienti e quasi totalmente controllate dalla mano pubblica. Il totale di questi sussidi, stimato dalla commissione Giavazzi è di circa 27 miliardi di euro l’anno. Una loro riduzione, nell’arco di cinque anni, al ritmo di quattro miliardi all’anno, porterebbe a un risparmio di 20 miliardi. Tagliando questi sussidi totalmente improduttivi, che hanno l’unico scopo di alimentare il carrozzone pubblico e tutta la sua piramide di clientele, si libererebbero 4 miliardi di euro già a partire dal prossimo anno”, afferma.

“Due sole mosse, per risparmiare quattro miliardi l’anno dal 2014 e più di dieci l’anno dal 2015: ecco come Letta”, secondo Boldrin, “potrebbe uscire dall’impasse sull’IVA e iniziare finalmente a ridurre IRES e IRAP sulle imprese veramente produttive che ne vengono oggi strangolate”. “Ma invece di affrontare i problemi economici del paese, che si risanano solo demolendo sprechi ed eccessi dell’apparato pubblico, il Presidente del Consiglio preferisce sollevare il dibattito sulle riforme istituzionali”, conclude Boldrin, “e sul semipresidenzialismo, ennesima foglia di fico dietro cui celarsi per evitare di affrontare i problemi reali del paese che sono anzitutto quelli causati da questo stato inefficiente, parassita e troppo costoso”.

viaMichele Boldrin: “Ecco dove trovare 14 miliardi per tagliare le tasse” | Fare per Fermare il Declino.

Fare può ancora fermare il declino? | The Fielder


THE FIELDER – G. MANZO 5 GIUGNO 2013

FARE X FID

Seguo le vicende di Fare, già Fid (Fermare il Declino), dai tempi in cui questo nacque, nel luglio dell’anno scorso; il giorno dopo l’apparizione del “manifesto dei dieci punti” mandai una mail ai fondatori offrendomi per dare una mano; ho nel tempo partecipato a varie riunioni locali, ed anche per un breve periodo dato una mano nella sede romana di Fare. Questa premessa non ha lo scopo di glorificare il mio impegno, di certo minore e meno significativo di tanti altri; vuole solo significare che chi scrive era, fino a qualche tempo fa, un convintissimo sostenitore di tale nuova proposta politica; che è rimasto delusissimo dall’affaire Giannino-Zingales di metà febbraio; che ha assistito con sincero rammarico alla folle diretta streaming della direzione nazionale, convocata qualche giorno dopo le elezioni politiche. E che ora cerca di interrogarsi sulle concrete possibilità future di questa formazione, senza eccedere né in senso apologetico né nelle critiche. A mio avviso, in questo momento esistono alcune gravi criticità che rischiano di rendere il progetto Fare non in grado di affermarsi (con numeri diversi dallo zero virgola) sulla scena politica italiana.

La prima è la leadership di Michele Boldrin. A prescindere dalle mie simpatie, poco rilevanti in questo contesto – e riconoscendo senza problemi che ci troviamo di fronte ad una persona dalla sicura e vastissima preparazione – pur tuttavia ritengo Boldrin una figura troppo divisiva. E’ molto apprezzato ad alcuni, e viene cordialmente detestato da altri. In sé questo potrebbe non essere un problema: lo stesso Berlusconi ha fatto di tale caratteristica il suo punto di forza; ma i numeri pro Cavaliere sono sempre stati ben altrimenti significativi (cosa che non sembra valere per Boldrin, e per lo stesso Fare). Osservando le vicende dall’esterno, Fare appare attraversata da una continua faida, fatta di scontri tra fazioni, motivate più da giochi di potere interni che da reali diversità di vedute; e non sembra che Boldrin sia riuscito, nei pur piccoli numeri degli aderenti attuali, a conquistare una leadership realmente riconosciuta e condivisa dalla stragrande maggioranza degli aderenti.

Trovo poi sorprendente come il nostro riesca ad andare ad infilarsi in polemiche senza fine con qualsiasi persona lo contraddica o esprima un pensiero non gradito. Ho assistito a scontri surreali tra Boldrin e semplici simpatizzanti, magari ragazzi di vent’anni o poco più. Se avessi l’opportunità di parlare direttamente con l’interessato avrei piacere di chiedergli: ma che senso ha passare il tempo a litigare sui social network con chiunque capiti a tiro? Una persona che voglia davvero far politica, non può comportarsi in questo modo. Dovrebbe cercare di volare un minimo più alto, registrando certamente i punti di dissenso, ma cercando poi una elaborazione politica come risposta; non certo bollando come stupido, o peggio, chi non vedesse le cose esattamente come lui. In politica ha ragione chi riesce a portare i voti; e di voti, fino ad ora, se ne sono visti ben pochi; trovo tale agire un po’ puerile, e tale da rischiare di screditare tutto il resto dell’operazione.

L’altro punto che vorrei mettere in evidenza riguarda la proposta politica. I dieci punti con i quali Fare si presentò alle elezioni politiche di febbraio restano, a mio avviso, la piattaforma più sensata tra tutte le proposte politiche in campo; molto lontano da ciò che personalmente mi auspicherei, ma meglio di tutto il resto. Da un certo punto di vista, però, pecca di medietà: non è né sufficientemente sfrontato e populista da poter conquistare la pancia di milioni di elettori (come ad esempio i grillini, che hanno cavalcato qualsiasi tema caldo, facendo proprie tutte le retoriche, di destra come di sinistra come di centro); ma neanche di rottura in senso pienamente libertario. Purtroppo non si riesce ad uscire dall’equivoco del compromesso: si guarda ai conti, si guarda all’oggi; si ragiona con il bilancino; si punta tutto sul pragmatismo; e non si ha il coraggio di volare alti, di proporre soluzioni vere. Dimenticando che è proprio con ragionamenti di questo tipo, volti ad accontentare quanti più possibile, o a scontentare quanti meno possibile, che da paese tra i big player mondiali nel volgere d’un trentennio sta sprofondando nelle retrovie.
Dal mio punto di vista si sottostimano gli elettori, che sono meno stupidi di quanto alcuni vogliano pensare: un programma netto, che si proponga davvero come obiettivo quello di ridurre seriamente e drasticamente lo stato, di combattere seriamente soprusi e privilegi, potrebbe esser accolto meglio di quanto non sospettiamo. In un mercato delle idee che poco ha da invidiare al deserto dei tartari, un partito che si volesse proporre come novità, se partisse da una chiarezza e da messaggio netto ed inequivocabile, potrebbe davvero fungere da faro per quanti, allo stato dei fatti, non sanno cosa pensare, non sanno in che direzione andare. Oggi che tutti, seguendo l’adagio keynesiano, guardano solo al breve periodo, un partito che riuscisse a dare come prima cosa una visione di lungo periodo, pur non cadendo negli estremismi giacobini di chi vuole abbattere tutto e subito, potrebbe davvero costituire un segnale importante. Viceversa, permanendo nei messaggi mediani, per l’elettore comune risulta persino difficile capire quale sarebbe la differenza con altri che, in passato, hanno già tentato di far passare un messaggio di “meno stato, meno tasse, più mercato”. Ed esser accomunati come messaggio ad altri, in tempi di anti-politica, in tempi in cui tutti sono ladri e incapaci, non è un buon viatico.

Infine, da un punto di vista di marketing politico, il messaggio di Fare è apparso, fino ad ora, troppo freddo. Troppo fondato su numeri e ragionamenti da economista, non scalda i cuori, e rimane ostico da comprendere per la gran parte delle persone; ed in mancanza di un frontman che riesca a riempire numeri e formule di speranza, passione e sogni, quale in parte era Oscar Giannino, un programma del genere rischia di risultare poco efficace. Una comunicazione di questo tipo è priva di senso; non ci si trova ad un seminario tra specialisti; le cifre le possono tirar fuori tutti, e le persone sanno fin troppo bene che nessun numero, nessun dato, nessuna cifra dimostra mai veramente qualcosa; e senza essersi ammazzati su tomi epistemologici. Non si convincerà mai nessuno della bontà delle proprie idee a suon di numeri: sono altre le cose che convincono. Servirebbe allora una sterzata dal punto di vista comunicativo.

Al momento, in sostanza, Fare manca di quelle caratteristiche che potrebbero determinare la fortuna di un movimento politico: assenza di risorse e di veri finanziatori; mancanza di una base compatta e determinata, motivata a farsi in quattro sul territorio mediante iniziative di ogni tipo; divisa, come è, in mille fazioni, ed incapace di vera propositività. Infine su Boldrin: oltre a quanto detto, mi viene da aggiungere che il nostro non sembra al momento possedere quelle qualità di carisma e senso scenico tali da poter convincere molte persone, sia dal vivo che tramite i mass media.

Su tutto, poi, ed è forse la cosa più grave, che più mi induce al pessimismo: manca l’entusiasmo, ingrediente magico nella riuscita di ogni impresa, che invece era largamente presente tra gennaio e febbraio ma che, dopo le elezioni, sembra essersi perso del tutto. Senza un deciso cambio di rotta appare difficile che Fare possa centrare l’obiettivo che si proponevano i fondatori alla sua nascita: fermare un declino che appare giorno dopo giorno sempre più inarrestabile.

Fare può ancora fermare il declino? | The Fielder.

Salari bassi ed informazione economica | noiseFromAmeriKa


19 novembre 2007 • michele boldrin

E’ urgente fare bene, fare presto e fare a larga scala una severa critica del giornalismo economico e di ciò che va pubblicando in Italia, specialmente con riguardo ai bassi salari.

Dopo la relazione Draghi, ma anche prima va detto, la stampa italiana ha scoperto che il reddito degli italiani non cresce. E ce ne spiega le cause suggerendo di conseguenza le cure appropriate.

Si vedano esempi quiqui e qui (quest’ultimo segnalato da un’altra cortese e graziosa lettrice).


Urge demistificazione!
 Questi stanno dicendo delle cretinate veramente invereconde che girano sulla stampa e, ne son certo, finiscono nei continui ed ossessivi quaquaraqua televisivi. Alle invereconde baggianate giornalistiche fanno poi da accompagnamento analisi “tecniche” incoerenti prodotte da economisti da spiaggia, come quelle che trovate in questo sito e diosolosa in quanti altri. In particolare, su quest’ultimo sito – assurto ad apparente fucina del pensiero economico rifondarol-manifestante – vi invito a leggere il dotto sproloquio sul capitale umano, il mercato malato e le eterne “riforme di struttura” a firma di tali Roberto Romano e Sergio Ferrari … tra confusione ideologica, assenza di qualsiasi analisi empirica, e completa ignoranza di cosa determini produttività e crescita, il pastrocchio che ne esce è ilare. Ma c’è poco da ridere, visto che poi su queste comiche idee il Parlamento italiano ci fonda la politica economica.

Sia chiaro, le cretinate non consistono nel documentare che, da quasi un decennio, salari e stipendi (in Italia si ama ancora fare questa distinzione: il primo lo prende il butto operaio, il secondo va invece al più civilizzato impiegato) non crescono in termini reali ed in alcuni casi addirittura calano. Questo è vero, ed è il sintomo più solido e più drammatico del declino del paese. Non crescono al lordo, prima delle tasse. La crescente tassazione del valore aggiunto generato dal settore privato, per mantenere le inutili spese della casta e della sua corte romana, hanno ridotto in moltissimi settori il reddito disponibile reale dei lavoratori italiani. Questo fatto era noto da un pezzo a chiunque non avesse il prosciutto sugli occhi. Il problema sta nel capirne correttamente le cause ed individuarne quindi i necessari rimedi. Ed è a questo punto che le cretinate in Italia fioccano.

Le cretinate consistono nel sostenere le varie teorie incoerenti che attribuiscono la mancata crescita del reddito degli italiani ai prezzi che crescono troppo (per cui basta fare il controllo amministrativo dei prezzi ed il reddito reale cresce), o al mancato rinnovo dei contratti (per cui basta scioperare più frequentemente e duramente, ed i redditi reali crescono) o al diffondersi dei lavori precari (per cui basta imporre per via legislativa o contrattuale l’eliminazione del precariato et voilà siamo tutti subito
più ricchi) ed altre corbellerie di questo tipo. Oppure, se si scrive sul Manifesto, basta straparlare di mancate “riforme di struttura” e dell’assenza di adeguato intervento pubblico che curi il mercato malato, come sproloquiano incoerentemente i due “economisti” di cui sopra, perchè il miracolo si avveri.

Urge
demistificazione, ripeto. Se leggete i commenti dei lettori nel secondo e nel terzo link che ho messo, vi viene la pelle d’oca. L’ignoranza e la confusione diffuse in Italia sulle cause del declino sono impressionanti e spaventose. Su tale ignoranza si mantiene la casta, il suo non riformare e l’eterno mal governare, sia esso prodian-rifondarolo o berlusconian-corporativitista. Su tale ignoranza si costruiscono solo ulteriori disastri a venire: un declino economico cosí massificato e persitente non si inverte in poco tempo, né senza misure di drastica e dolorosa riforma (questa sì: strutturale!) che liberino mercati, concorrenza, meritocrazia e mobilità sociale. E che taglino le maledette tasse assieme alle maledette spese pubbliche inutili.

Purtroppo mi manca il tempo per farlo, quindi posso solo fare l’appello ad altri più capaci di me. Il tempo mi manca perchè qui il mercato non è malato. Tralasciando il mercato senior, dove faccio da ansioso acquirente, ho sei studenti sul mercato junior medesimo: un italiano, uno spagnolo, un russo, un turco, un argentino ed un giapponese. Cercano tutti ed entusiasticamente un lavoro precario, con rischio di licenziamento in tre o sei anni se non producono nuova conoscenza ad alto ritmo e non insegnano come si deve. In compenso, se lo trovano negli USA, il lavoro precario in questione pagherà loro un salario iniziale di almeno 120mila dollari … agli altri raccontare cosa succederebbe se lo trovassero invece in Europa o, peggio ancora fatte salve due eccezioni, in Italia.

via| noiseFromAmeriKa.

Michele Boldrin – commenti su Elezioni Comunali 2013 – Fare x Fermare il Declino


Cari Fattivi,

Le recenti elezioni locali meritano un breve commento puntuale in attesa di una riflessione approfondita e di un esame dettagliato, istanza per istanza, di ciò che siamo riusciti a fare bene e di ciò che abbiamo fatto meno bene o male.

Il dato più saliente è quello dell’astensionismo che cresce ad ogni elezione: una fetta sempre più consistente di cittadini non trova l’offerta politica che desidererebbe e rinuncia a cercare il cambiamento attraverso il voto. Questo fatto è allarmante perché delegittima sia gli eletti che il meccanismo democratico stesso, rendendo le riforme (paradossalmente) sempre meno probabili: riformare diventa praticamente impossibile quando si ha l’appoggio esplicito di, al più, un quarto degli aventi diritto al voto.

Allo stesso tempo, l’aumento del non voto dovrebbe servire di pungolo per chi, come noi, si pone l’obiettivo di cambiare la politica sia nei metodi che nei contenuti. Capire perché il partito degli astenuti sia divenuto il partito di maggioranza relativa e cosa chiedano i concittadini che hanno rinunciato a votare dev’essere un impegno di tutti noi nei mesi a venire.

Le persone favorevoli al cambiamento non stanno, almeno nella loro maggior parte, fra coloro i quali (o ben fideisticamente o ben per interessi personali) insistono a sostenere con il loro voto i due blocchi responsabili del declino italiano. Questo elemento importante (che un italiano su 3 non vota) sembra assente da molte riflessioni politiche, anche quelle al nostro interno che si concentrano sul “recuperare” il voto di questo o quell’altro raggruppamento storico.

Credo sia invece bene riflettere su due fatti  banali: il primo passo verso il cambiamento politico consiste nel superare l’appartenenza ideologica a questo o quel blocco  – “destra” vs “sinistra”; il secondo nel comprendere che, se le politiche offerte dai due blocchi tradizionali (e dal M5S più recentemente) non soddisfano, occorre cercare altrove invece di rinunciare.Sta a noi intercettare questi milioni di italiani costruendo un “altrove” che sia per essi convincente.

Il secondo dato rilevante è l’insuccesso delle liste locali del M5S, un risultato in forte contrasto con il successo di solo alcuni mesi orsono. Questo segnala, anzitutto, come il voto di “protesta” che ha caratterizzato sino ad ora i consensi al M5S sia poco stabile e suscettibile di andarsene tanto rapidamente quanto si è avvicinato. Gli elettori confermano di voler ottenere dei risultati concreti, non solo e non tanto delle urla distruttive che soddisfano per qualche tempo ma poi lasciano la situazione immutata. Ne segue che noi dobbiamo sforzarci di intercettare l’elettorato mobile in uscita dal M5S per convincerlo che siamo in grado di proporre delle soluzioni fattibili per quei medesimi fattori di insoddisfazione che hanno motivato l’iniziale protesta.

Il risultato delle comunali, che oltre al crollo del M5S indica pure una sostanziale sconfitta del blocco PdL-LN, ci ricorda anche che il radicamento locale dei partiti politici è, alla lunga, rilevante sia per la loro sopravvivenza organizzativa che per il loro successo elettorale. Non basta avere figure carismatiche o elettoralmente attraenti a livello nazionale e nemmeno bastano gli exploit mediatici fondati su affermazioni eclatanti e populiste.

Per governare il paese occorre avere sia proposte convincenti che rispondano alla domanda di riforme di quegli italiani che hanno acquisito la consapevolezza della necessità di cambiare rotta sia lavorare capillarmente per radicarsi a livello locale, attraendo persone capaci e rispettate. Dobbiamo saper lavorare ad entrambi i livelli: il lavoro di riorganizzazione del partito sia a livello centrale che locale è di centrale importanza e ad esso vanno dedicati i nostri sforzi e le nostre attenzioni.

Il convegno di Perugia del 7 ed 8 giugno sarà un primo ed importante momento di lancio della nostra proposta politica nazionale ma anche di messa in moto della macchina organizzativa e delle nostre attività sul territorio. Invito tutti gli iscritti – soprattutto i delegati al congresso e tutti i componenti delle direzioni regionali – ad iscriversi immediatamente usando l’apposita pagina del nostro sito.



Per costruire insieme il nostro nuovo percorso, il 7 e l’8 giugno si terrà a Perugia una due giorni di incontro e dibattito politico con aderenti, delegati, e membri delle neo elette direzioni regionali e nazionale. L’incontro sarà occasione per conoscersi e discutere iniziative e temi su cui riteniamo prioritario far convergere tutte le nostre energie per far sì che FARE torni a incidere sul dibattito politico. Gli eventi del 7 giugno sono riservati agli eletti di Fare: delegati, direzione nazionale, direzioni regionali, presidenti regionali; quelli dell’8 sono aperti a tutto il pubblico.

Qui potrete trovare tutte le informazioni riguardanti l’incontro, consultarne il programma ed iscrivervi.

Intervento conclusivo di Michele Boldrin al Congresso Nazionale | Fare per Fermare il Declino


Vi forniamo qui un ritaglio dell’intervento finale di Michele Boldrin, appena eletto presidente di Fare, al Congresso Nazionale di Domenica scorsa.

viaIntervento conclusivo di Michele Boldrin al Congresso Nazionale | Fare per Fermare il Declino.

MICHELE BOLDRIN risponde alle 11 domande ai candidati alla presidenza di Fare | Fare per Fermare il Declino


FARE POLITICA

1. Volete un partito a vocazione maggioritaria o pensate che sia più funzionale nel breve periodo concentrarsi su alcune istanze forti e in grado di creare identità?
Non per fare i democristiani, ma le due opzioni devono contemperarsi perché l’una senza l’altra serve a ben poco. Non serve a nulla essere chiari e coerenti se non si convince un grande numero di elettori che le proprie proposte son quelle giuste, e non serve a nulla aver tanti elettori se non è chiaro cosa si voglia fare o nemmeno lo si sa. Avere solamente tanti voti serve a chi cerca il potere politico fine a se stesso, come le tristi storie di PD e PdL provano: tanti voti, pochi fatti, paese in rovina. Ricordiamoci che alle radici del grande successo iniziale di Fermare il Declino e di FARE stavano proprio una chiara identità ed una cristallina coerenza, conquistate anche al prezzo di aspre discussioni interne che evitarono inciuci di ogni sorta e permisero di affinare e ribadire le nostre proposte. Queste sono le due principali ragioni per la miracolosa crescita che si invertì a metà febbraio 2013 proprio perché fallimmo il test della coerenza.
Il miracolo di Fermare il Declino non era certo dovuto all’ambiguità generica del messaggio o a tattiche da “politici” professionisti che giocano a dare un corpo al cerchio ed uno alla botte, ma a tutto il contrario. Occorre ripartire dai nostri principi e dalle nostre proposte per confrontarci onestamente con chi ha simili aspirazioni di cambiamento costruendo così l’aggregazione maggioritaria che il paese degli esclusi aspetta. Ma occorre evitare il “montismo” fumoso (ora, spero di no ma temo di sì, incarnato nel governo Letta) che non porta da nessuna parte e vuole solo tappare buchi qui e là per mantenere l’esistente. La scelta politica strategica che il paese ha di fronte è questa: continuare sulla strada seguita sino ad ora, seppur introducendo elementi di razionalità e decenza nella gestione della cosa pubblica, o cambiare decisamente rotta per crescere? Se questa scelta, che noi auspichiamo, deve prevalere vi è solo una via possibile ed è quella tratteggiata nelle nostre 10 Proposte. Su questo fatto si fonda la nostra vocazione maggioritaria, sulla consapevolezza di avere individuato le direttrici portanti dell’unica strategia di rinnovamento dell’Italia.
2. Quale dovrebbe essere l’elettorato di riferimento di Fare? In particolare: a) a quali categorie sociali volete parlare (giovani/anziani, uomini/donne, occupati/disoccupati, imprenditori/lavoratori, ecc.)? b) ritenete di concentrarvi su un elettorato politicamente schierato o “di opinione”? Nel primo caso, avete in mente interlocutori di sinistra, centro o destra?
Fermare il Declino, quindi FARE, nascono dalla consapevolezza che, in Italia, chi innova, chi lavora e produce in condizioni di concorrenza, chi con lo sforzo ed il merito individuale cerca di progredire, non è rappresentato politicamente da nessuno dei grandi partiti – tradizionali e non visto che il M5S sembra saper solo protestare e mai proporre qualcosa di utile. Questo significa che gli interessi dei milioni di italiani che lavorano e competono fuori dall’aera dei privilegi pubblici sono ignorati dalla politica ed ostacolati dall’apparato dello stato: loro sono il nostro elettorato di riferimento. Fra di essi vi sono sia uomini che donne, sia giovani che anziani, sia occupati che disoccupati, sia imprenditori che lavoratori, sia dipendenti privati che pubblici. La linea di demarcazione, ripeto, è definita anzitutto lungo gli assi definiti da produttori/parassiti ed esclusi/privilegiati. Il problema che dobbiamo affrontare è che, da decenni, questi milioni di persone sono politicamente divisi e, di fatto, succubi di altri gruppi meglio organizzati ed ideologicamente più attrezzati. Il nostro elettorato di riferimento è quindi distribuito in quasi tutto lo spettro politico: dalla LN ed il PdL fino al PD passando per il M5S e Scelta Civica. Occorre aggregarli politicamente per cambiare questo stato, mettendolo al loro servizio e non viceversa.
3. Secondo voi Fare deve puntare a una corsa solitaria oppure deve aggregarsi con altre forze? Quali? Con quali interlocutori dal mondo politico, dell’associazionismo e della società civile pensate sia prioritario relazionarsi? E a che livello (locale, regionale, nazionale)?
Fare deve anzitutto ricostruire se stesso dopo la batosta del febbraio-marzo 2013. Deve non solo darsi una linea politica chiara ed esplicita ma anche un’organizzazione trasparente, efficiente, decentrata e democratica, tutte cose che non ha avuto sino ad ora. Questo mi sono impegnato a fare ed intendo farlo così:
  1. cambiando lo statuto (la proposta sarà disponibile presto su www.manifestoxfare.it/wp),
  2. allargando il gruppo dirigente (Consiglio Nazionale e vera Direzione Nazionale di 30 persone circa) a cui va data visibilità nazionale,
  3. adottando un codice etico semplice ed ampiamente condiviso (anche di questo è disponibile una proposta, direi altamente emendabile, sullo stesso sito a cui aggiungerò presto la mia) e,
  4. definendo con chiarezza i principi base della nostra azione politica oggi troppo scarni e di cui nessuno, fatta eccezione per me ed il gruppo di amici che si è riconosciuto nel ManifestoxFare, ha discusso.
Poi, ed è questo il secondo stadio della nostra proposta, dobbiamo compiere ogni sforzo possibile per costruire una nuova aggregazione politica che fonda tutte quelle forze, grandi e piccole (a livello locale, regionale e nazionale), che hanno i nostri stessi obiettivi di fondo ma che abbiamo perso per strada, assieme alle decine di migliaia di aderenti che si sono allontanati da FARE dopo il 18/2 e che solamente con una nuova e coerente proposta possiamo recuperare.
Occorre, in altre parole, anzitutto acquisire credibilità sia attraverso la scelta delle persone che ci rappresentano, sia con la qualità ed originalità delle nostre proposte, sia con la trasparenza ed efficienza della nostra organizzazione. Fatto questo, si apre davanti a noi il mare magnum dell’azione politica che dobbiamo svolgere a 360 gradi. Dobbiamo,da ognuno dei tre grandi bacini elettorali, attrarre elettori che apprezzino le nostre proposte. Dobbiamo dialogare con le componenti interne a quei raggruppamenti che già hanno orientamenti non dissimili dai nostri (da ciò che resta di liberale nel PdL e nella LN ai “renziani” nel PD sino alle componenti più realiste e pragmatiche del M5S, passando per coloro i quali, in Scelta Civica, vogliono cambiare il paese e non fare del semplice trasformismo per interesse privato).
Dobbiamo poi, quando si venga alle elezioni, saperci unire a forze a noi simili senza perdere identità ma riuscendo ad essere  la componente più dinamica sul piano delle proposte e del programma.Su questo terreno è assolutamente inutile ed ipocrita fantasticare ora: le trattative serie si fanno apertamente e quando se ne ha la forza, sulla base di un programma chiaro. Non sottobanco, per allusioni, lanci giornalistici e chiacchere vaghe che a nulla portano. Ci si può alleare con chiunque, se il programma è chiaro e l’accordo preciso, o con nessuno se queste condizioni vengono a mancare. L’ambiguità, le furberie, la retorica vuota non portano da nessuna (buona) parte e si vede.
4. Chi sarebbe stato il vostro Presidente della Repubblica ideale? Potete rispondere sia in relazione ai nomi che sono stati in ballo – come Napolitano, Rodotà, Prodi, ecc. – che con nomi che ritenete avrebbero dovuto essere votati e invece sono stati scartati dai partiti. Come, esattamente, uscireste dall’attuale situazione di stallo della Repubblica Italiana?
Nessuno dei nomi proposti era ideale, per la semplicissima ragione che erano tutti nomi di persone responsabili del declino e con le proprie radici addirittura nella prima, neanche nella seconda repubblica. La scelta, quindi, va formulata in termini di meno peggio non di “Presidente ideale”. Assumendo che la scelta fosse, come alla fine sembrava, fra Napolitano e Rodotà, io credo che una riflessione attenta porti alla conclusione che – 50,1 a 49,9 – il secondo era meno peggio del primo. Perché mentre nella formazione ideologica e nelle pratiche politiche concrete l’uno vale l’altro – rigido comunista d’apparato il primo, nonostante o fors’anche grazie alle sue posizioni “miglioriste”; radicale prima ed indipendente di sinistra poi con tendenza a teorizzare impossibili utopie, l’altro – oggi come oggi uno avrebbe dato un piccolissimo ma positivo segnale di cambiamento rispetto all’altro. Rodotà avrebbe forse sparigliato un po’ di più di Napolitano il quale sembra uomo desideroso di garantire anzitutto stabilità e conservazione invece del cambiamento per il quale noi operiamo. Ed il paese oggi ha bisogno di cambiare, di rimescolare le carte di farla finita con il dominio (fondato su un’alleanza implicita e presto forse esplicita) di PD e PdL. Rodotà era ben lungi dall’ideale, ma avrebbe inserito un elemento contradittorio rispetto all’asse PD-PdL.
La designazione di Letta jr e la nascita del nuovo governo confermano, almeno in parte, l’analisi di cui sopra. Questo non è un cattivo governo (date le circostanze) ed è senz’altro un governo da stimolare e spronare. Ma sarebbe sciocco ed illusorio pensare che questo governo possa cambiare il paese nella direzione da noi auspicata. Occorre avere l’intelligenza per distinguere fra evitare il peggio e ricercare il meglio o anche solo il bene. L’accordo su cui il governo Letta si fonda è fondamentalmente “conservare con minimi aggiustamenti simbolici e senza intaccare il sistema di potere in essere”. Nostro compito è sia premere perché gli aggiustamenti vadano al di là del simbolico sia far capire all’elettorato che occorre andare oltre l’asse PD-PdL se si vuole fermare il declino.

FARE ORGANIZZAZIONE

Premessa: l’attuale Congresso è, per molti aspetti, un Congresso costituente. Potete quindi rispondere alle seguenti domande, anche specificando quali modifiche statutarie intendete apportare.
5. Se doveste uscire vincitori dal congresso, quali saranno le iniziative che prenderete dentro (organizzazione interna) e fuori (iniziative politiche) Fare nei primi 100 giorni?
Iniziative interne: Abbiamo già detto che intendiamo cambiare radicalmente lo Statuto per attuare ciò che ho da sempre (ossia, almeno dall’ottobre del 2012) proposto. Vogliamo un partito federale a base regionale, con un’organizzazione snella e orientata a risolvere i problemi ed a raggiungere obiettivi specifici. Questo richiede creare, valorizzare e coordinare sia comitati permanenti che territoriali che virtuali che tematici, gruppi di lavoro ad hoc su iniziative legislative, forum aperti per gli aderenti non coordinati in comitati, utilizzo ampio di Liquid Feedback o strumenti simili per mantenere un contatto con le opinioni della base e per aggiornare in tempo reale la nostra valutazione e percezione dei problemi concreti da affrontare.
Riteniamo inoltre vi debbano essere vari livelli (oltre a quelli regionali, che ogni regione articolerà liberamente) di partecipazione, discussione, elaborazione di linea politica e dirigenza. In particolare: un Consiglio Nazionale di 100 persone (per ora partiamo dai delegati al congresso, poi lo eleggiamo ex novo a suffragio universale), una Direzione Nazionale ampia che costituisca il vero gruppo dirigente (circa 25-30 persone), una Segreteria politico-organizzativa di circa 8-10 persone, ognuna con una specifica funzione, che operi distribuita sul territorio nazionale. L’idea della “sede centrale” dove si concentra tutto il “potere” e dove fioriscono cordate, amicizie pelose, gruppi di potere e le mille amenità che già abbiamo sperimentato è assolutamente deleteria e va evitata. Infine, il Presidente dovrà essere solo il “primum inter pares” nella Direzione Nazionale: proponiamo di chiamarlo “Coordinatore della Direzione Nazionale” ed attribuirgli poteri effettivi ed utili ma limitati al controllo/consenso della Direzione Nazionale. Niente più partitino guidato dall’uomo o donna del destino ma un vero ed ampio gruppo dirigente di persone capaci e pubblicamente rispettate, prive di conflitti d’interesse ed assolutamente trasparenti. Questa era la nostra cifra iniziale e questa cifra dobbiamo recuperare.
Iniziative esterne:
  1. Interventi mirati sui media (stampa e radio-tv) per fare conoscere meglio il movimento (lasciando a un momento successivo, magari pre-elettorale le vere e proprie campagne “a pagamento” sia di brand sia su temi specifici);
  2. Lancio e/o partecipazione a iniziative politiche mirate (es. raccolta firme di leggi di iniziativa popolare, come ho spesso sostenuto), anche in collaborazione con altri soggetti politici e non. Questo crea attenzione sia verso il movimento stesso che sulla sua linea politica, e getta i primi ponti per alleanze future su basi non strettamente “di schieramento”, ma – molto più opportunamente – su obiettivi politici concreti;
  3. Partecipazione alle consultazioni locali, laddove ci siano e vi sia la capacità di fare un buon risultato. È stato inevitabile non partecipare alle regionali in Friuli, ma le elezioni a sindaco nei grandi comuni ad esempio, permettono di dire la nostra sui candidati al ballottaggio. E se provassimo qualche volta a proporre un nostro candidato e provare ad aggregare forze attorno a lei/lui?
  4. Creazione di gruppi di lavoro permanenti sui grandi temi di lungo periodo su cui occorre agire con spirito riformatore. Questi corrispondono alle 10 proposte originali e ad altre su temi quali, in primis, immigrazione e diritti civili.
  5. Ricerca di collegamenti e proiezione internazionale. Questo aspetto è stato completamente ignorato sino ad ora ed è stato un grave errore. In Italia l’ispirazione liberal-democratica è storicamente rappresentata poco e male, anche a livello di delegazione al parlamento Europeo. Ma dalla Spagna, alla Germania, alla Francia, al Regno Unito, alla Svezia, sono presenti, e numericamente consistenti, movimenti e partiti di ispirazione non dissimile dalla nostra con i quali occorre interagire. Alcuni contatti preliminari sono stati avviati e, se dovessi essere eletto presidente, sarà mio impegno consolidare questa rete e trasferirla in patrimonio al nuovo partito che dovremmo costruire in ottobre.
6. Come intendete organizzare Fare? Come volete strutturare i ruoli, l’organigramma e le procedure al fine di garantire efficienza, responsabilità e trasparenza?
Se e come intendete dividere la struttura organizzativa ed esecutiva di Fare da quella politica e decisionale?
Nell’ambito della nostra “elaborazione politica aperta”, di cui parlerò più chiaramente nella prossima domanda, uno dei punti più importanti sui quali verrà fatta esprimere la base degli aderenti sarà proprio la struttura organizzativa, visto che è una delle cose più delicate e che, a mio avviso, ci ha provocato svariati danni. Ho già detto sopra quali organismi intendo aggiungere agli attuali e come ritengo comitati/circoli/gruppi di lavoro debbano essere le sorgenti della proposta politica e dell’iniziativa stessa. Qui aggiungo solo due cose: non si può separare il politico dall’organizzativo, in un partito e la trasparenza è un processo che occorre garantire ogni giorno, non un annuncio. Un partito politico è di fatto un gruppo di amici che si fidano uno dell’altro e perseguono un comune obiettivo. Se una linea politica prevale nella discussione collettiva coloro che l’hanno proposta devono prendersi la responsabilità per attuarla, non si può delegare ad una struttura “burocratica” neutra perché la politica è sia scelta di idee e programmi che di persone che li attuino. Non vogliamo un partito di professionisti, ma di volontari attivi e propositivi. Quanto le tue proposte sono quelle condivise dagli altri tocca a te attuarle. Se poi fallisci, passi la mano ad un’altra persona o gruppo che cerchino di attuare idee diverse da loro proposte. Ci vogliono idee e persone per rimpiazzare altre idee e persone.
Per questo io trovo imbarazzante leggere affermazioni del tipo “le idee di Boldrin sono buone però lasci fare a noi che facciamo i manager e sappiamo organizzare”! Oppure “i fondatori facciano i professori, quelli che lo fanno, e stiano nel pensatoio che a fare politica attiva ci pensiamo noi che facciamo di professione i manager”! Ma dove? Anzitutto organizzare un partito è ben altra cosa dall’organizzare un’azienda o un fondo d’investimenti: in questi ultimi ci sono dipendenti pagati che obbediscono agli ordini del padrone, nel partito ci sono volontari ed amici che decidono assieme … a meno che non si voglia replicare l’esperienza berlusconiana, ovviamente. Eppoi, appunto, perché in politica le idee camminano sulle gambe delle persone e nascono nelle teste delle persone. Non si può separare una cosa dall’altra, basta guardarsi attorno: nella storia sia italiana che straniera i leaders politici erano persone che anzitutto esprimevano idee proprie ed originali, non manager di idee altrui. Chi pensa di poter fare il manager freddo e borotalcato di idee che non ha elaborato e che forse nemmeno intende, scopiazzate o prese a prestito che esse siano, non ha proprio inteso la differenza cruciale fra la politica e gli affari.
7. Se e in che modo pensate di poter incorporare gli input della base per elaborare il programma e la direzione politica? Come funzioneranno la democrazia interna e i processi decisionali? Come pensate di organizzare la comunicazione interna e la circolazione di informazioni e decisioni?
Credo di aver praticamente già risposto ma, forse, repetita iuvant. Immagino un partito federale e molto trasparente. Le idee partono da chi ce le ha, le elabora e le propone: che la fonte sia un comitato, un singolo aderente o il coordinatore della direzione nazionale, non fa differenza. Si tratta di costruire canali attraverso cui farle circolare, valutare ed elaborare, le idee, separando il grano dal loglio. A questo servono sia gli organi formali sopra menzionati (i quali, alla fine, devono assumersi la responsabilità ultima della decisione) sia le discussioni informali sul territorio ed in rete. Occorre integrare rete e territorio: se un comitato elabora una buona idea non deve semplicemente “trasmetterla al regionale” ma farla circolare in rete al resto del partito, comitati ed aderenti. Accennavo nella domanda precedente alla nostra idea di un processo di “elaborazione politica aperta”, alla quale vale la pena dedicare un po’ di tempo perché si tratterà di uno dei primi casi in Italia se non al mondo. Altri movimenti stanno utilizzando (o meglio fanno finta di utilizzare) strumenti di democrazia online. Penso al Movimento 5 Stelle con le Quirinarie, ma anche Umberto Ambrosoli nella sua candidatura alla regione Lombardia, ed a molti altri casi in Europa. Nessuno di questi, almeno in Italia, ha però mai avuto l’approccio partecipativo a monte, ossia dalle fondamenta del movimento, dai singoli aderenti e dai loro gruppi di aggregazione. Noi pensiamo ad un sistema tale per cui le proposte politiche vengono sempre messe in circolo, valutate e fatte circolare. Certamente, ad un certo punto gli organi eletti all’uopo dovranno decidere se renderle ufficiali o meno ma, nel contempo, i militanti e gli aderenti potranno elaborarle, modificarle ed esprimere il loro supporto o la loro opposizione. È perfettamente possibile che la DN ignori una idea appoggiata dal 70% degli aderenti ma dovrà prendersi la briga di spiegare perché lo fa ed essere convincente assai, pena la defenestrazione al prossimo congresso.
Decisioni: occorre saper delegare e decentrare. Messi alcuni paletti congressuali e fatto salvo il codice etico, la politica al comune di Varese la decidono quelli di Varese in consultazione con la Direzione Regionale lombarda, non la Direzione Nazionale. Delegare e decentrare non vuol dire generare il caos: la linea politica generale deve essere ben definita, le valutazioni che gli aderenti danno delle decisioni prese ai vari livelli devono pesare ed essere ascoltate (occorre, quindi, pensare ad un organo di garanti che convochi il Consiglio Nazionale tutte le volte in cui vi sia palese evidenza di un conflitto fra decisioni prese ad un qualche livello e linea politica di fondo) e, soprattutto, che chi riceve delega e poi sbaglia … se ne assume la responsabilità. Si tratta di capire che “dimettersi” quando si sbaglia è fisiologico, non implica andare all’inferno per sempre. Implica passare la mano ad un’altra persona per vedere se fa meglio. E magari rimettersi in corsa con nuove proposte per la prossima volta, se se ne ha la voglia. La mia idea di organizzazione interna, quindi, si riassume con quattro parole: delega, competenza, discussione, responsabilità.
Infine, proprio perché quando si delega occorre anche aver chiara la linea generale ed i fini che ci si prefige, credo sia il caso di avere un congresso nazionale ogni due e non ogni tre anni. Non deve essere una cosa faraonica ma semplicemente una occasione per discutere assieme di cosa stiamo facendo, cosa abbiamo fatto bene e cosa male e cosa vogliamo fare nel futuro.
8. Quale ruolo prevedete per i comitati? Avete pensato a meccanismi di coordinamento fra i vari comitati? Pensate sarà necessario formare i loro membri e referenti su procedure burocratiche, public speaking, organizzazione eventi, raccolta fondi?
Mi sembra chiaro da quanto detto che i comitati, come ogni altra forma di organizzazione degli attivisti, giocano un ruolo chiave: sono uno dei luoghi dove si elabora e sviluppa linea politica, oltre che uno dei luoghi dove la si attua. Ho visto girare tonnellate di populismo sul tema, populismo a volte vago ed interessato. Meglio essere chiari. I comitati (circoli, gruppi di lavoro, eccetera) sono forme di organizzazione degli aderenti. Vanno fomentati e coordinati ad ogni livello (territoriale, tematico, funzionale) e vanno lasciati liberi di articolarsi e comunicare come a loro aggrada. Ciò che è importante è mantenere fermi tre capisaldi: (1) chiunque può elaborare e proporre linea politica, idee nuove, spunti programmatici, i comitati in primis; (2) ad ogni livello (territoriale, tematico, funzionale, nazionale) esistono organi decisionali eletti democraticamente (una persona un voto) che devono assumersi la responsabilità ultima delle decisioni politiche; (3) strumenti, telematici e non, di interazione fra comitati, persone, attivisti in genere, vanno sempre usati al massimo per sviluppare discussione, elaborazione e consenso prima di giungere alla decisione finale.
Ovviamente abbiamo bisogno di strumenti di formazione dei nostri attivisti ed anche questi vanno articolati a vari livelli a cui progressivamente si deve sviluppare la nostra attività politica. Avremmo bisogno sia di “scuole regionali” per chi si occupa di argomenti locali che di “scuole nazionali” per altri argomenti. Dobbiamo sia preparare chi opera nei comitati, come chi opera nei vari organismi regionali e nazionali, come, quando li avremo, dovremo preparare i nostri eletti, dai comuni al parlamneto. Questo è tutto abbastanza naturale ed ovvio, non vedo ragione di dilungarmi nei dettagli in questa sede. Al momento, la nostra preoccupazione maggiore deve essere quella di fare chiarezza sulla linea politica e di superare artificiose divisioni fra comitati e singoli aderenti o fra “base” e “vertice”. A questo io mi auguro il congresso serva: capire se esiste un gruppo dirigente che sappia esprimere una linea politica ed una struttura organizzativa che diano un futuro a questo movimento e siano capaci di realizzare le nostre speranze.
9. Come pensate di reperire le risorse necessarie per portare avanti le nostre battaglie? Se aveste 20,000 euro, come li spendereste? E se ne aveste un milione? Col senno di poi, come avreste impiegato le risorse nella scorsa campagna elettorale?
Io credo che l’operazione di fundraising sia stata gestita relativamente bene, almeno dal punto di vista tecnico/pratico e per la parte diretta ai singoli aderenti, ossia alle donazioni individuali attraverso il sito. È stato molto facile per le persone effettuare donazioni online con PayPal e/o carta di credito. Diversamente, parecchio peggio, sembra essere andata l’attività di raccolta fondi fra i potenziali “grandi donatori” che, per quanto riesco a capire, ha prodotto poco o niente al netto delle spese e, di certo, è rimasta molto al di sotto degli obiettivi prefissati ed annunciati. Va riconosciuto che chi ha coordinato quella parte del progetto raccolta fondi non ha certo dimostrato grandi capacità organizzative o particolare inventiva. Quanto fatto va rivisto criticamente trovando fra i nostri aderenti persone capaci di fare questo lavoro, un lavoro che, per diretta esperienza personale in università e fondazioni in vari paesi del mondo, so richiedere pazienza, dedizione e molta tecnica. Ovviamente, a fronte dei problemi che abbiamo avuto, sarà necessario rilanciare la raccolta fondi fra piccoli e medi donatori dando ai nostri aderenti ragione per credere in noi e nel nostro progetto in modo che le donazioni possano riprendere e crescere.
Credo anche che la gestione dei fondi raccolti sia stata meno che ottimale come meno che ottimale è stata la nostra capacità di informare il pubblico di quanto e come raccogliavamo mese per mese e di come queste risorse venivano spese. Lì si apre un mondo (anche di critiche, tanto per esser chiari) che andrà studiato molto attentamente ma non voglio polemizzare ulteriormente; sto ancora studiando il bilancio con i miei collaboratori e dobbiamo ancora capire la logica di molte delle scelte fatte. Mi sembra comunque quantomeno bizzarro che si sia speso in consulenza il 30% del budget totale destinato alle attività di comunicazione, una percentuale del tutto esagerata per gli standard di quel settore. In ogni caso, incaricherò una commissione di aderenti esperti perché studino sia come abbiamo raccolto i fondi sia come li abbiamo spesi e producano, nello spazio di un mese al più, un rapporto completo ed assolutamente dettagliato da rendere pubblico a tutti gli aderenti. Sulla base di quel rapporto decideremo come rilanciare la nostra raccolta fondi e come amministrare e spendere le nostre risorse, oltre che di come rendere trasparenti entrambi questi processi.
Se avessimo 20,000 euro probabilmente punteremmo molto su internet con il quale si ottiene il maggior ROI anche in termini di visibilità grazie alla grossa forza virale di FARE e all’attività su Facebook, Twitter e YouTube dei nostri aderenti. Approfitto per manifestare una volta ancora la mia gratitudine ai volontari che, in questi mesi, hanno gestito la nostra presenza nei social networks dove hanno fatto un lavoro eccezionale, migliore di qualsiasi altra organizzazione politica se si tiene in considerazione l’assoluta scarsità di risorse messe a loro disposizione.
10. Pensate sia necessario istituire norme di condotta da seguire durante l’utilizzo di internet e dei nuovi media da parte di chi ricopre ruoli di spicco nel partito, sia sui canali ufficiali di Fare che sui loro siti e account personali?
Fatto salvo l’ovvio (ossia, che non è mai il caso di riportare informazioni non veritiere in qualsiasi sede, sia essa virtuale o meno) e quanto previsto dal Codice Etico che proporremo al Congresso ed a tutti gli aderenti, la mia risposta in principio è: no. Figuriamoci se un movimento politico può pretendere di regolare in qualsiasi modo il comportamento online delle persone: diventerebbe un tentativo, maldestro, di limitare la libertà di opinione e discussione, pubblica o privata che sia. Considero internet una grande autostrada e non sarà certo il nostro movimento a dettarne le linee guida. Per i luoghi di discussione pubblici esiste la netiquette, basta e avanza. Cosa diversa sono le risorse interne (sito, forum, etc.). Faremo appello ovviamente anche lì alla netiquette ma, essendo spazi molto spesso di lavoro e/o deliberazione chi alza i toni, insulta gratuitamente o esagera nelle corbellerie dovrà essere invitato a smetterla (se necessario, impedito a farlo) esattamente come avviene nella realtà in una qualsiasi assemblea o dibattito pubblico. Questo vale in particolare su LiquidFeedback, anche se ho sperimentato essere “anti-trolling” per delle dinamiche interne tutte sue: una proposta, se assurda, non viene neanche considerata dalla comunità e viene scartata automaticamente. Questo già mi tranquillizza.
In ogni caso, vale la regola secondo cui tutte le opinioni hanno diritto di essere liberamente manifestate e che le affermazioni concernenti fatti verificabili vanno provate e sottoposte al test dell’altrui valutazione critica.
FARE squadra
11. Una squadra è formata da un capitano e diversi giocatori; c’è qualche personalità di spicco della vostra squadra che vorreste citare? Quali ruoli vorreste che coprissero nella nuova Fare?
Il nostro gruppo di lavoro è stato in grado di attirare un grande numero di persone con specifiche competenze. Mi piace ricordare che il manifesto di “Fermare il declino”, la base di partenza del nostro movimento e del nostro partito, nasce da un lavoro di squadra che venne iniziato, per quanto mi riguarda, con il convegno del febbraio 2012 organizzato da Sandro Brusco e dal sottoscritto e che coinvolse sin da allora varie persone che collaborarono poi al manifesto di luglio fra cui, con un ruolo progressivamente sempre più rilevante, Oscar Giannino. Tale lavoro di elaborazione è continuato sino a Luglio ed ha coinvolto (oltre ad Oscar Giannino che già aveva avviato un lavoro simile attraverso la sua trasmissione radiofonica ed il “Chicago Blog” in collaborazione, fra gli altri, con Carlo Stagnaro) gli altri fondatori, ognuno dei quali ha contribuito le idee che era andato sviluppando, nel tempo, nella propria attività pubblicistica e di ricerca. Queste idee hanno poi trovato largo consenso tra i migliori economisti che questo paese ha saputo esprimere. Tutte risorse che, con diversi gradi di coinvolgimento, possiamo ancora sfruttare nell’elaborazione teorica, ma non solo.
Ovviamente non dobbiamo fermarci agli economisti: molte altre figure professionali di grande levatura si sono aggiunte in questi mesi al team, alcune ci sono ancora, molte si sono forse stancate e vanno recuperate e coinvolte. Fare qui un elenco di nomi correrebbe il rischio di offendere quelli che, per una ragione o l’altra, finirei per dimenticare senza intenderlo, quindi preferisco astenermi dal proporre un elenco anche perché stiamo parlando di dozzine di professionalità di ogni tipo che si sono a noi avvicinate e che possono ritornare a cooperare con noi se appropriatamente motivate. A queste persone occorre saper parlare il linguaggio dei contenuti, dell’innovazione, della competenza tecnica e del rispetto per il loro ruolo creativo. Questa non è tanto una questione organizzativa ma politica e di sostanza: occorrono idee nuove e valide per motivare chi altre idee nuove e valide sa e può produrre.
Nella nostra squadra, tra i candidati alla direzione nazionale e alle presidenze regionali, sono presenti molte persone che hanno grandemente contribuito, ai vari livelli, alla crescita di Fare in questi mesi, dimostrando sempre passione, apertura mentale, competenza, spirito laico e capacità di ascolto della base. In ottemperanza alla necessità di cambiare e far emergere nuove energie abbiamo fatto uno sforzo, credo riuscito, di candidare quante più persone nuove possibile, scegliendo sempre in modo trasparente ed attraverso una serie articolata di “mini primarie” le persone più valide e che ricevevano il maggior consenso fra gli aderenti alla proposta contenuta nel Manifesto per Fare. Voglio qui esprimere la mia gratitudine a tutti quei coordinatori, regionali o ad altro livello, che, pur avendo ben operato sino ad ora, hanno avuto il coraggio di fare un passo indietro in questa fase congressuale per permettere a nuove persone di farsi avanti. È stato il loro un grande gesto di generosità e coerenza che non tutti han saputo fare nella definizione delle candidature di altre proposte congressuali e che vorrei pubblicamente riconoscere.
Inoltre, in questo periodo precongressuale, alla nostra squadra si sono aggiunte ulteriori nuove  competenze anche nelle aree dell’organizzazione, della comunicazione e dei social network, per permettere alla nostra capacità di penetrazione sul mercato politico di accrescersi e per dare la massima apertura ai contributi della base. Il fatto che abbia spinto molto per l’utilizzo, fra i molti altri strumenti, di una piattaforma di democrazia online che in qualche modo orizzontalizzi al massimo i ruoli, la discussione e il dibattito interno, la dice lunga su quanto sia distante da me il concetto di “capitano” o di leader che tutto conosce e tutto controlla. Invece mi piace molto parlare di squadra e penso al mio ruolo come quello di un talent-scout, allenatore e coordinatore (assieme a chiunque voglia aiutarmi) di quella grande squadra di talenti che il nuovo gruppo dirigente di Fare deve riuscire ad essere per cambiare davver l’Italia, pazientemente ma seriamente.
Michele Boldrin

11 domande ai candidati alla presidenza di Fare: le risposte di Michele Boldrin | Fare per Fermare il Declino.

11 domande ai candidati alla guida di Fare | Fare per Fermare il Declino


Cari Amici,
Nei primi weekend di Maggio si terranno i congressi di Fare, per dare un nuovo slancio al movimento dopo le elezioni, e fornire finalmente le risposte ai problemi di un’Italia sempre più in difficoltà.

Abbiamo posto a tutti i candidati alla presidenza di Fare undici domande, per poterli conoscere meglio e confrontare le differenti visioni sul futuro di Fare per Fermare il Declino. Le risposte verranno pubblicate strettamente in ordine cronologico di invio da parte dei candidati

Leggi le risposte dei candidati

Nei prossimi giorni pubblicheremo le risposte degli altri candidati:

11 domande ai candidati alla guida di Fare | Fare per Fermare il Declino.

Fare, Boldrin: “Dopo Giannino serve più democrazia” | Linkiesta.it


Milano, Verona, Padova, Roma. Non si tratta, perlomeno non ancora, delle tappe del prossimo Giro d’Italia, ma della corsa di Michele Boldrin verso il congresso di Fare per Fermare il Declino. Dopo la débâcle elettorale dello scorso 24-25 febbraio (380 mila voti, l’1,12% e nessun eletto alla Camera e al Senato), Fare ha deciso di ripartire da zero. Nei weekend del 4-5 e dell’11-12 maggio prossimi verranno eletti i nuovi vertici del partito e, proprio in questi giorni, il professor Boldrin sta girando il nord del Paese per presentare la propria candidatura e il suo Manifesto per Fare. Assieme a quella di Boldrin sono state presentate altre due mozioni in vista del congresso: La Strada da Fare, firmata da Zotti, Masini, Magnini e La Ragione di Fare, che annovera tra i firmatari Alessandro De Nicola e Silvia Enrico, la reggente del post-Giannino. Ed è proprio il professor Boldrin che accetta di parlare con Linkiesta, mentre è in viaggio verso la Capitale.

Boldrin, che cosa ha sbagliato Fare?
Abbiamo pagato il fatto di aver organizzato tutto in soli cinque mesi. È stato dato poco peso alla democrazia interna, alla selezione di candidati adeguati, e soprattutto alla presentazione di una squadra di nomi, senza lasciarsi trasportare dalla ricerca del leader simbolico, come invece è accaduto. Altrimenti quando scopri che il leader ha le pecche che aveva Giannino, ovviamente crolli. Con delle procedure interne migliori, forse ci saremmo resi conto prima dei difetti di una persona.

Zingales ha sbagliato? 
Luigi non ha sbagliato per niente a farci conoscere la notizia. Il problema è che avrebbe dovuto aspettare, non farla uscire in maniera individuale, per consentirci di prendere una decisione collettiva che poi, comunque, avrebbe dovuto portare Giannino a togliersi di mezzo. Insomma, la conseguenza non potevano che essere le dimissioni di Giannino, ma la stessa decisione poteva essere presa senza alcun trauma. Era un arto che andava amputato, ma bisognava fare un po’ di anestesia al corpo, e preparare un arto di sostituzione.

Boldrin, lei non avrebbe agito come Zingales? 
Ero appena partito per l’India, e devo dire che è esploso tutto nell’arco di 24 ore. Dissi subito di far riunire la direzione, per chiedere a Giannino di fare una dichiarazione completa e esaustiva delle pecche che stavano emergendo. Poi si sarebbe presa una decisione che, comunque, non poteva che essere quella.

Zingales deve rientrare nel partito?
Non posso sapere cosa vuole fare Luigi Zingales. Segua la sua coscienza, e se vuole iscriversi di nuovo al partito sarà il benvenuto, libero di farlo. Tutti quelli che vogliono iscriversi e cooperare sono ben accetti, non si può fare un casus belli dell’accaduto.

Mario Monti è ancora in carica, e qualcuno ha ricollegato i recenti suicidi in Italia alle politiche di austerity del suo governo. Condivide questo giudizio?
I suicidi non c’entrano niente con Monti, la recessione è più frutto di Berlusconi e di Tremonti. Però Monti ha buttato via un’occasione storica per iniziare un grande processo di rinnovamento. Certamente ha fatto meno peggio di Berlusconi, ma in base a quello che avrebbe potuto fare il mio giudizio è molto negativo.

Cosa l’ha delusa in particolare? 
Tutto. Monti non ha fatto bene niente. Ha aumentato le tasse in maniera proditoria invece di tagliare le spese, aumentandole di colpo, e in maniera indiscriminata. La riforma delle pensioni è una finta riforma, e ci auguriamo tutti che quella del mercato del lavoro venga formalmente eliminata. La ministra Fornero ha partorito un mostriciattolo, ma in assoluto per Monti conta ciò che non ha fatto.

Cosa avrebbe dovuto fare e non ha fatto?
Avrebbe dovuto tagliare le spese per davvero, cominciando laddove è più importante tagliarle, seppur simbolicamente: nella burocrazia statale, e nel sistema dei partiti. È vero che con quel taglio di spese non si sarebbe recuperato più di mezzo punto di PIL, ma così il governo avrebbe indicato una strada.

Secondo Joseph Stiglitz l’Europa ha davanti a sé due strade: l’unione fiscale e bancaria, oppure l’ uscita dall’Euro di molti paesi dell’Unione. Cosa ne pensa? 
Credo che Stiglitz debba occuparsi di altre cose, sta parlando a vanvera.

Un premio Nobel non è proprio l’ultimo arrivato. 
Stiglitz è un premio Nobel perché ha scritto delle cose su «information asymmetry» e «moral hazard», di queste cose non capisce niente. Non si può fare l’unione fiscale tra 27 paesi con lingue, sistemi economici e sistemi politici totalmente diversi, l’unione fiscale può esserci in un governo federale. Stiglitz dovrebbe vivere qualche anno in Europa, così capirebbe la differenza con gli Stati Uniti. Il Missouri non sta allo stato di New York come il Portogallo sta alla Germania: sono due cose diverse.

La soluzione è l’uscita dall’Euro?
Certo che no, ma l’unione fiscale si può fare negli Stati Uniti, che sono un Paese, non in Europa, che non lo è. Anche la moneta unica è stata una fuga in avanti, perché avrebbero dovuto prima fare un sistema bancario integrato, un mercato comune vero, e poi l’unione monetaria. A maggior ragione l’unione fiscale adesso sarebbe solo un tentativo di mettere la toppa all’unione monetaria fatta troppo in fretta. Abbiamo già problemi di unità fiscale in Italia, figuriamoci se avessimo una tassazione comune da Amburgo a Caltanissetta.

L’Italia vive una situazione di stallo politico: Bersani dovrebbe farsi da parte affinché si desse l’incarico ad altri, oppure servono subito le elezioni?
Per carità, non è il caso di andare alle elezioni adesso, men che meno col porcellum. Non sono in Parlamento, quindi non ho nessun titolo per dire a Bersani cosa dovrebbe fare. Mi sembra, però, che l’unica soluzione sia un governo del Presidente, che sbrighi l’ordinaria amministrazione. Non lo auspico, ma mi sembra l’unica possibilità per fare una riforma delle due ali del Parlamento e nuova legge elettorale.

Le vostre idee hanno resistito alla débâcle di Fare? C’è una forza di questo Parlamento in grado di portarle avanti?
Vista la pochezza delle proposte fatte dai partiti, continuo a pensare che le idee di Fare siano l’unica maniera che l’Italia ha per uscire dalla crisi, e auspico che chiunque le possa portare avanti. In Parlamento, invece, penso che nel gruppo degli eletti di Scelta Civica ci siano delle persone capaci, che forse potrebbero collaborare con noi. Al momento stiamo riorganizzando il movimento, dopo la conflagrazione dovuta a Giannino, ma speriamo di poter lanciare presto delle leggi di iniziativa popolare.

 

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